Discorso Mattarella al Bundestag

Mattarella al Bundestag: memoria, responsabilità e un richiamo universale alla pace

Nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto a Berlino, presso il Bundestag, un intervento di altissimo profilo istituzionale in occasione della Giornata del Lutto Nazionale, nel quadro delle commemorazioni per gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Davanti alle massime cariche dello Stato tedesco, Mattarella ha intrecciato memoria storica, riflessione sul presente e un forte invito alla responsabilità delle democrazie europee.

Come Fondazione Generazioni, al fine di promuovere memoria attiva, dialogo e responsabilità tra generazioni, riproponiamo il discorso affinché cittadini, giovani e comunità possano farne strumento di riflessione civica.

Il discorso del Presidente Sergio Mattarella al Bundestag

Memoria delle tragedie del Novecento

Gentili intervenuti,
Siamo in questa Aula solenne per fare memoria dei caduti, delle vittime della guerra e della violenza.
Caduti negli abissi della storia, nelle insidie tese da altri uomini.
La vita delle persone, dei popoli, delle nazioni, è colma di inciampi e di tragedie.
Talvolta per scelte individuali, più spesso per deliberato operare degli altri.
La Prima guerra mondiale lasciò sul terreno almeno 16 milioni di morti, la metà dei quali civili, oltre a venti milioni di feriti e mutilati.
La Seconda guerra mondiale, estesa al fronte del Pacifico, si calcola che abbia visto settanta milioni di morti.
Le vittime, Paese per Paese, sono impressionanti. E va sempre ricordato che non di numeri si tratta ma di persone.

“Mai più”: un principio che oggi viene messo alla prova

Come è possibile che tutto questo sia potuto accadere e pretenda di ripresentarsi?
Quanti morti occorreranno ancora, prima che si cessi di guardare alla guerra come strumento per risolvere le controversie tra gli Stati, che se ne faccia uso per l’arbitrio di voler dominare altri popoli?
“Niewieder”. “Mai più”.
È la espressione adottata nella comunità internazionale per condannare l’olocausto ebraico.
A “Niewieder” si contrappone “wieder”: “di nuovo”.
A questo assistiamo.
Di nuovo guerra.
Di nuovo razzismo.
Di nuovo grandi disuguaglianze.
Di nuovo violenza.
Di nuovo aggressione.

Oggi, è per me motivo di grande onore essere qui e prendere parte alla Giornata del lutto nazionale tedesco, per commemorare, insieme, le vittime dei conflitti proprio nell’anno in cui celebriamo gli ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale.
I morti che qui ricordiamo, i morti nel mondo a causa della violenza dei conflitti riguardano ciascuno di noi se intendiamo essere considerati esseri umani.

Il ripudio della guerra come fondamento europeo

Oggi rivolgiamo il nostro sguardo, il nostro pensiero, alle vittime di quelle tragedie.
Dai militari caduti ai civili, vittime di quella condizione – la guerra – che la Legge Fondamentale tedesca e la Costituzione italiana ripudiano, facendo propria la grande lezione derivante dal tragico secondo conflitto mondiale.
Ci uniamo, in una giornata di memoria e di lutto, perché ricordare la nostra storia comune è esercizio indispensabile nella nostra inesauribile aspirazione alla pace.

La pace come impegno incessante

Memoria delle atrocità dell’uomo nel passato e dolore profondo per quelle presenti ci obbligano a un esercizio di consapevolezza: la pace non è un traguardo definitivo, bensì il frutto di uno sforzo incessante, fondato sul raggiungimento di valori condivisi e sul riconoscimento della inviolabilità della dignità umana di ogni persona, ovunque.
Da sempre la guerra ambisce a proiettare la sua ombra cupa sull’umanità.

La guerra industrializzata e la tragedia dei popoli

Il Novecento, con l’industrializzazione della morte, ha trasformato la tragedia dei soldati in una tragedia dei popoli. Nei borghi d’Europa, nelle città distrutte dai bombardamenti, nelle campagne devastate, milioni di civili divennero bersagli. Deportazioni e genocidi segnarono profondamente la Seconda guerra mondiale. Da allora il volto della guerra non è più solo quello del combattente, ma quello dei bambini, delle madri, degli anziani senza difesa.

Ciò che accade oggi a Kiev e a Gaza testimonia il ritorno della logica della guerra totale: non la sconfitta del nemico, ma il suo annientamento. Un’escalation di crudeltà resa ancor più devastante dall’era atomica, in cui un solo gesto può cancellare una città e l’innocenza stessa del mondo.

Il “coraggio di amare” e una democrazia vivente

A questa deriva, Theodor Heuss – primo Presidente della Repubblica Federale Tedesca – oppose il “MutzurLiebe”, il coraggio di amare, e il progetto di una “democrazia vivente”. Ricordò al mondo che «non vi è libertà senza umanità, e non vi è pace senza memoria».
La democrazia diventa così chiave di equilibrio tra autorità e libertà: è la democrazia a legittimare l’autorità, superando i totalitarismi che pretendono di rappresentare il tutto, e fondandosi sull’universalità dell’uguaglianza tra le persone.

Il diritto internazionale come argine alla disumanità

Nel dopoguerra, la nascita delle Nazioni Unite e delle Convenzioni di Ginevra riaccese la speranza di una pace fondata sul diritto, riaffermando un principio cardine: la popolazione civile deve essere sempre protetta.
Eppure la cronaca – dal Biafra ai Balcani, dal Ruanda alla Siria, fino all’Ucraina, a Gaza e al Sudan – mostra che la guerra continua a colpire soprattutto chi non combatte.

Il dramma dei civili e degli sfollati

Oggi, secondo le Nazioni Unite, oltre il 90% delle vittime dei conflitti è costituito da civili. Un dato che non può essere ignorato né rimanere impunito.
Le persone costrette ad abbandonare le loro case sono 122 milioni: non numeri, ma volti, storie strappate al futuro.
Il Diritto internazionale umanitario – argine alla disumanità – è messo duramente alla prova: nessuna “circostanza eccezionale” può giustificare bombardamenti su aree abitate, l’uso della fame come arma, la violenza sessuale o la rappresaglia contro innocenti.

Una minaccia crescente all’ordine internazionale

La caduta della distinzione tra civili e combattenti incrina il principio stesso di umanità e colpisce l’ordine internazionale, ora aggravato dall’irrompere di nuove armi.
A questo contesto si aggiunge la mancata ratifica del Trattato del 1997 che vieta gli esperimenti nucleari da parte di Paesi chiave e il ritiro della ratifica da parte della Russia nel 2023. Cresce il timore che si apra un nuovo vaso di Pandora.

La diffusione di un linguaggio assertivo, che pretende supremazia, alimenta divisioni. È pericoloso rottamare trattati e istituzioni costruite per porre riparo a violenze che, nelle società nazionali, consideriamo crimini. La sovranità di un popolo non si esprime nel diritto di portare guerra al vicino, né il successo di una nazione può tradursi nella produzione di ingiustizia.

Il crimine della guerra di aggressione

La guerra di aggressione resta un crimine. Vale l’insegnamento di Norimberga:
«Se riusciremo a imporre l’idea che la guerra di aggressione è la via più diretta per la cella di una prigione e non per la gloria, avremo fatto un passo per rendere la pace più sicura» (Robert Jackson).

Tocca ai popoli della Repubblica Federale Tedesca e della Repubblica Italiana – insieme alla comunità internazionale – opporre la forza del diritto alla forza delle armi.

Il cammino condiviso delle due Repubbliche, nei decenni dal dopoguerra ad oggi, ha costruito un mondo migliore partendo dall’Europa: un’area di pace, libertà, prosperità e diritti umani senza precedenti. L’Unione Europea, nata dalle rovine della guerra, ha un ruolo storico nel multilateralismo, che oggi diventa ancora più cruciale.

I Paesi europei hanno mostrato coraggio nel perseguire l’unità dove non esisteva, contro ogni esperienza precedente. Non possiamo permettere che il sogno europeo venga lacerato da epigoni di tempi bui. È un dovere morale che spetta a ogni generazione.

Lo dobbiamo ai caduti ricordati oggi, ai nomi delle pietre d’inciampo, al lavoro del Volksbund, e soprattutto ai giovani che meritano un mondo più sicuro di quello segnato dalle guerre del passato.

Mai più. Niewieder.

Le ferite dell’umanità non possono essere cancellate, ma da esse nasce un impegno comune per il futuro, fondato sulla dignità umana.
La nostra consegna sia semplice e imprescindibile:
Mai più. Niewieder.

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